L’Oliva Ascolana del Piceno DOP

Cibo di strada, finger food o grande protagonista del fritto misto all’ascolana non importa.

 

La si può gustare in tanti modi e nelle più svariate situazioni, ma il risultato è sempre lo stesso: l’Oliva Ascolana del Piceno DOP ripiena riesce a stregare tutti con la sua fragranza e croccantezza, col suo equilibrio tra frutto e carne. In commercio è disponibile sotto forma di olive in salamoia e, appunto, ripiene.

Foto: eatitalynews.com

Le olive sono ottenute dalla varietà “Ascolana Tenera” (Olea Europea sativa). L’oliva in salamoia si presenta di colore uniforme dal verde al giallo paglierino, sapore lievemente acido con un leggero retrogusto amarognolo. È fragrante e croccante in bocca. La percezione olfattiva è di media intensità con note fruttate di oliva verde e spezie. La zona di produzione dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP comprende alcuni Comuni della Provincia di Ascoli Piceno ed alcuni comuni della provincia di Teramo.

La coltivazione dell’olivo nel territorio Piceno risale addirittura ai Fenici e ai Greci e già dai tempi dei Romani essa era nota ed apprezzata. La storia registra che Marziale, in un epigramma satirico critica un tal Mancino per la grossolanità dei suoi banchetti in cui, tra le varie prelibatezze mancanti, citava l’assenza di olive picenae; in un altro epigramma, poi, accenna all’oliva picena come stimolatore di appetito.

Il territorio Piceno nell’antichità era disseminato da numerose piantagioni di olivo, almeno stando a quanto asserisce un autore minore latino nel poema epico “le Puniche”. In quell’epoca bastava dire “olive picenae” per identificare le olive che giungevano a Roma da quella provincia. Plinio le riteneva migliori fra tutte quelle italiane. Non si può pensare che sotto il nome di Picenae si confondessero altre varietà di olive da mensa perché precise testimonianze del Columella, nel suo Trattato di Agricoltura, mettono in luce dieci varietà di olive da tavola fra cui la Picena.

Successivamente, si deve ai Monaci Benedettini Olivetani la razionalizzazione delle pratiche agronomiche sugli olivi e gli stessi monaci furono i primi ad operare la concia delle olive utilizzando il “ranno”, liquido alcalino ottenuto dissolvendo una parte di calce viva con 4-5 parti di cenere di legno in acqua.

Inedite carte provenienti dall’archivio dei Monaci Benedettini forniscono notizie anteriori al 1500 sulla coltivazione, sulla raccolta e sull’utilizzazione delle olive da tavola nell’ascolano.

Alcune ricerche bibliografiche fanno risalire al secolo scorso la nascita della tradizione legata alla farcitura ed alla frittura delle olive da tavola secondo metodo e ricette ancora in uso. La tradizione popolare ritiene che l’origine dell’oliva farcita e fritta sia stata un’esigenza di recupero delle carni di risulta dei banchetti e dei pranzi che si tenevano nelle famiglie abbienti.

Di media dimensione, tenera, dolcissima e ricca di polpa, l’Ascolana si conserva in salamoia: dopo una breve fase di fermentazione – di poco più di una settimana – le olive sono collocate in recipienti con acqua salata ed aromatizzate con il finocchio selvatico, erba odorosa cara alla tradizione conserviera della zona. Ma l’Ascolana Tenera dà il meglio di sé farcita e fritta.

Dal 2006 l’oliva ascolana è tutelata dal marchio Denominazione di Origine Protetta sia nella versione in salamoia che nella versione ripiena da friggere.

 

Luogo
Marche
Parole chiave
gastronomia, olive

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