Il nostro viaggio parte dalle marine di Melendugno: San Foca, Torre dell’Orso e Sant’Andrea ognuna di loro presenta una particolarità.
San Foca
San Foca ospita la famosa Grotta degli Amanti, secondo la leggenda così chiamata perché due giovani vi si rifugiarono per ripararsi dal freddo vento di tramontana.
La costa a falesia è caratterizzata da due insenature sabbiose, in una delle quali, quella a nord, sono presenti alcuni scogli con forme caratteristiche, “lo scoglio dell’otto”, perché assomiglia al numero 8, scritto però in orizzontale. San Foca, che deve il suo nome alla Torre presente sul territorio, attualmente sede della Capitaneria di Porto, è un pittoresco centro di pescatori. Il suo porto, regala un suggestivo panorama, impreziosito da un particolare imperdibile: all’orizzonte, quando il cielo è limpido, è possibile scorgere la sagoma delle montagne dell’Albania, distante circa 72 miglia dalle spiagge di San Foca.
Torre Dell’Orso
Spiagge candide e mare cristallino, addolcito da un clima mite e ventilato. Il tutto magicamente racchiuso da una folta pineta. È Torre Dell’Orso, località amata dai numerosissimi visitatori che ogni anno la scelgono per trascorrere le proprie vacanze.
L’erosione ha, nel corso dei decenni, modificato tale sembianza ma è tuttora ben visibile. Porto dell’antica città-santuario di Roca, come dimostrato da recenti studi, Torre dell’Orso era un importante scalo per i naviganti che giungevano o si recavano sull’altra sponda adriatica, le cui rotte sono citate anche nell’Eneide di Virgilio. A sud della scogliera è presente la grotta di San Cristoforo nella quale sono stati rinvenuti antichi graffiti, iscrizioni greche, latine e cristiane, suppliche e preghiere di buon auspicio per un imminente viaggio sulle onde del mare blu. Ancora più a sud, a poca distanza dalla spiaggia, si incontrano due faraglioni, detti “Le due Sorelle”. Secondo la leggende il nome deriverebbe da due sorelle che si tuffarono da una rupe nel mare in tempesta e persero la vita non riuscendo più a tornare a riva. Gli dei le tramutarono in faraglioni, affinché potessero ammirarne la bellezza in eterno.
Torre Sant’Andrea
L’erosione del mare sulla roccia crea degli scenari naturali a dir poco magici.
Ne è un esempio Torre Sant’Andrea, località caratterizzata da una costa prevalentemente rocciosa, e ricca di grotte e piccole insenature. Anche questo posto prende il nome dalla torre, dove è presente il faro, che domina sul piccolo porticciolo. Grazie anche al suggestivo spettacolo di luci e colori tra mare e cielo, Torre Sant’Andrea è amatissima dai turisti e molto frequentata soprattutto nelle calde serate estive, potendo anche contare sulla presenza di diversi locali che la rendono una delle località della movida della costa Adriatica.
Torre del Serpe
A pochi chilometri a sud di Otranto, si erge solitaria e mezza diroccata, un’antica torre di avvistamento: la Torre del Serpe, una delle tante disseminate in tutto il Salento, costruite per avvistare subito la minaccia saracena.
Il suo nome è legato ad un’antica leggenda, che avvolge il sito di un velato mistero e fascino avvolgente. Si ritiene che la sua costruzione risalga al periodo romano e che la torre avesse la funzione di faro. La leggenda narra che durante la notte, mentre i soldati cadevano in un sonno profondo, un serpente saliva puntualmente dalla scogliera e strisciava lungo le pareti della torre. Giunto alla sua estremità, beveva tutto l’olio della grande lanterna, privandola del prezioso liquido che la teneva accesa. Una volta spento il fanale, il serpente, contento e sazio, poteva ritornare al mare. Si narra, altresì, che prima del 1480, anno in cui i Turchi saccheggiarono Otranto e uccisero gli ottocento martiri, questo popolo venuto da Oriente, navigò lungo la costa adriatica in cerca di bottino. Fortunatamente anche quella notte il serpente fece visita alla torre e bevve il suo olio. Il faro si spense e gli Ottomani, non avendo alcun punto di riferimento, sbarcarono a Brindisi. Otranto, in quell’occasione, fu salvata dal serpe ed è anche per tale ragione che gli idruntini lo hanno fortemente voluto nel loro araldo dove è rappresentato, attorcigliato alla torre.
Porto Badisco
Proseguendo a Sud, si consiglia un tuffo nella piccola baia di Porto Badisco.
Chi si reca a Porto Badisco in estate, può godersi un paesaggio unico: la baia è ricoperta dal manto giallo delle ginestre che spuntano sulle rocce, specchiandosi nel mare verde-blu, terso e cristallino. A Badisco potrete anche gustare il sapore impagabile dei ricci di mare, venduti sui banchetti o nelle trattorie tipiche del piccolo borgo. Secondo la leggenda narrata da Virgilio, Porto Badisco, è la prima sponda adriatica toccata da Enea nel suo viaggio in Italia, in fuga da Troia, con suo padre Anchise e suo figlio Ascanio. Tra grotte mitologiche e scogli selvaggi, è situata la Grotta dei Cervi, uno dei più importanti siti preistorici d’Europa. Un complesso ipogeo ornato da formazioni stalattitiche e stalagmitiche che 4 millenni fa ospitò i primi abitanti della zona. Inizialmente ribattezzata “Antro di Enea”, la grotta, attualmente inaccessibile al pubblico, è ricoperta di svariate immagini di uomini che tendono l’arco, donne, bambini, cervi o cani, oggetti (vasi, otri).
Grotta della Zinzulusa
A soli 7 km è Castro Marina, l’ultima delle Bandiere Blu sul lato adriatico. Anche qui, gli scogli a picco sul mare costituiscono solo un tassello del variegato puzzle panoramico completato dalle rinomate grotte che emergono dai fondali. La più famosa è la “Grotta della Zinzulusa”.
L’origine della grotta racconta una delle più belle e famose leggende salentine.
Governava un tempo quei possedimenti un terribile uomo, un barone signore e padrone delle terre intorno a Castro, così malvagio e crudele da far morire la moglie di dolore mentre la giovane figlia conduceva una penosa vita di stenti, vestita di poveri stracci.
Un giorno una fata buona decise di porre fine a quell’ ingiustizia, prese il Barone e lo scaraventò nel profondo di una grotta sulla scogliera; là dove il malvagio sprofondò scaturirono le acque dell’inferno e si formò un laghetto; la figlia sposò il suo principe e i suoi stracci affidati al vento andarono a pietrificarsi sulle pareti della grotta.
I gamberetti che vivevano nella grotta, testimoni di questi terrificanti avvenimenti, persero la vista per sempre.
Ora la grotta si chiama “Zinzulusa” e zinzuli in dialetto sono gli stracci, le particolari formazioni calcaree che ‘pendono’ dal soffitto. Il laghetto nella grotta si chiama Cocito e i poveri gamberetti sono ancora lì, si chiamano Typhlocaris salentino, animaletti lunghi circa 7 cm ciechi e senza pigmenti.
Testo: | Angelica Gallo |