Siamo così abituati alle affascinanti e stucchevoli fiabe Disney che non ci viene mai in mente che Cenerentola possa effettivamente chiamarsi Zezzolla e che sia riuscita non solo a far innamorare il principe, ma anche a spezzare il collo della matrigna con il coperchio della cassapanca. Che Hänsel e Gretel abbiano due cugini italiani, Ninnillo e Nennella, anch’essi persi nella foresta, ma che non avevano a che fare con una strega, bensì con un pirata e una balena. Che la bella addormentata sia stata svegliata non dal bacio del re, ma dai bambini gemelli nati dopo che questo stesso re “colse con la forza i frutti dell’amore”. E che invece di un gatto con gli stivali ci fosse una gatta che brillava di intelligenza e astuzia, rendendo ricco e famoso il suo proprietario.
Tutte queste leggende e favole bizzarre e sofisticate, spaventose e comiche, che mescolano lo stile alto e basso, furono raccolte e abbellite dal poeta e scrittore Giambattista Basile tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo. Queste versioni non sono pettinate ed eleganti come quelle di Charles Perrault e dei fratelli Grimm!
Il futuro scrittore nacque nel comune di Giugliano, in Campania. I suoi genitori, nobili impoveriti, lasciarono ai loro sei figli e tre figlie non soldi e proprietà, ma talenti: il fratello maggiore fu un famoso compositore, la sorella minore, Adriana, una celebre cantante del Regno di Napoli. Giambattista iniziò come soldato mercenario nelle truppe della Repubblica di Venezia, e poi salì al grado di capitano di fanteria. Durante la difesa dai turchi dell’isola di Creta, allora colonia veneziana, divenne membro di un salone letterario dall’eccentrico nome “Accademia degli Stravaganti”.
Poi continuò la sua carriera civile: divenne un poeta di corte e organizzatore di balli, mascherate e spettacoli. La fama e il fascino della sorella Adriana gli garantirono una posizione agiata presso la corte del Duca di Mantova. Compose per lei odi, arie e madrigali, mentre lei contribuì alla pubblicazione delle sue opere poetiche. Ma ben presto Giambattista cambiò di nuovo radicalmente la sua vita: tornò nel sud Italia e iniziò a gestire le tenute di vari principi e conti. Fu Adriana a rendere immortale il nome di suo fratello, pubblicando dopo la sua morte “Lo cunto de li cunti”, la prima raccolta in Europa di racconti rielaborati di fiabe popolari.
Raccolti e rielaborati per bene! I cinquanta racconti sono scritti in un ricco dialetto napoletano e sono legati ad un tema trasversale: dieci dame e cavalieri si alternano nel raccontare storie per cinque giorni (il libro, infatti, è anche chiamato “Pentamerone”). L’azione si svolge solitamente nei boschi e nei castelli della Basilicata, in particolare nella città di Acerenza. La raccolta era difficilmente destinata alle orecchie dei bambini: la trama è spesso troppo crudele, ben condita da frasi colorite, dettagli piccanti e umorismo nero. I ricercatori sostengono che il “Lo cunto de li cunti” sia stato creato per l’intrattenimento di cortigiani voluttuosi e oziosi, e proprio per questo l’autore, mentre era in vita, non ci avrebbe nemmeno pensato a pubblicare la sua creazione.
Nonostante le trame delle fiabe di Basile siano riconoscibili nelle commedie di Carlo Gozzi e anche nei “Racconti degli Urali” di Russia e “Il cavallino gobbo”, in patria per molto tempo si preferì non citare, salvo quando indispensabile, la controversa creazione di Basile. Un rinnovato interesse per lui è sorto soltanto nella seconda metà dell’Ottocento, dopo che i fratelli Grimm vi espressero il loro apprezzamento e nella stessa Italia si inizio a manifestare interesse e ad approfondire lo studio della cultura napoletana. Un nuovo momento di popolarità è arrivato nel 2015, quando il regista e vincitore del Grand Prix del Festival di Cannes Matteo Garrone ha girato l’acclamato film “Il racconto dei racconti – Tale of Tales”, basato su tre storie di questo libro.
I racconti di Giambattista meritano di essere letti anche oggi. E non solo perché ci consentono di immergerci nella vita napoletana di tre secoli fa meglio di qualsiasi museo etnografico. Ma perché sono davvero affascinanti, catturano il lettore fin dalle prime righe e gli fanno provare empatia per tutti, orchi e principesse, fate e maghe, povere brave ragazze e persino matrigne, disegnando una ricca tavolozza di sentimenti, aspirazioni e speranze umane.