– Ciò non accade spesso d’estate, d’inverno, invece, sempre, per giorni è impossibile raggiungere la terraferma- dice Giulia per aiutarci: il discorso è la miglior arma contro il mal di mare. Dal porto di Piombino, che si trova sullo stivale, fino all’isola di Portoferraio ci vuole un’ora e mezzo di traghetto, con qualsiasi condizione climatica, come dicono…
Scopro che Giulia è nata sull’isola d’Elba, ha studiato in Francia ed ha vissuto a Firenze, ma per i suoi 45 anni è tornata sull’isola. Dice che ne sentiva il bisogno.
Tuttavia ammette che la vita circondata dall’acqua è più arida, anche nel caso di un’acqua così brillante come quella che circonda l’isola d’Elba, non nel senso che sia più difficile, ma poiché è diversa, ed anche le persone lì sono diverse. Isolane, così si chiamano, dal termine italiano isola appunto, termine cui anche chi non è un filologo associa un rapporto diretto con il concetto d’isolamento e, in italiano, risuona particolarmente all’orecchio.
A quanto pare è proprio quest’isolamento volontario ad attrarre coloro che hanno scelto di vivere sull’isola d’Elba.
Vedere l’isola d’Elba e…
Chi, in realtà, non era alla ricerca di tale isolamento è senza dubbio colui che, ancora oggi, è il più famoso abitante dell’isola, Napoleone Bonaparte, esiliatovi a maggio del 1814. “Potevo tutto, finché non ho visto l’isola d’Elba” dice l’aforisma prescritto all’imperatore francese, che da lì si è aperto la strada per la sua Waterloo.
– L’isola d’Elba non è mai stata un’isola per aristocratici-racconta la direttrice del Museo Nazionale delle Residenze Napoleoniche dell’isola d’Elba Antonia D’Agnello –E, per questo, è stato difficile trovare un alloggio decente per l’imperatore. È ora che la sua casa a Portoferraio si chiama la Villa dei Mulini. Al tempo, era una baracca di un solo piano con quattro stanze, costruita nello spazio esistente tra due mulini, ragione del nome dell’edificio…che, a dir il vero, sono stati buttati giù ancor prima dell’arrivo di Napoleone. In sostanza, prima dell’arrivo dell’imperatore francese, nella casa abitava solo il suo giardiniere.
La dipendente del museo, che mi guidava nei labirinti della storia napoleonica, è stata loquace e ospitale, a quanto pare raramente vengono in visita giornalisti dalla Russia.
-Saprete, che è proprio lo tsar russo che ha insistito affinché fosse lasciato il titolo d’imperatore all’esiliato Napoleone, -riferisce lei gentilmente, facendo sì, intanto, che io potessi accedere al secondo piano del museo, chiuso per lavori tecnici.
Questo piano è stato costruito apposta per l’imperatore, che ha partecipato lui stesso alla costruzione, pagava di tasca propria gli operai affinché finissero prima i lavori e gli aiutava nelle faccende manuali mentre, non di rado, si mangiava con loro pane e uovo sodo.
Ha risolto anche la questione riguardante gli arredi della villa alla grande, “alla napoleonica”.
– Era stato detto, a Napoleone, che la tempesta aveva spinto a Porto Longone (ora questo porto turistico locale si chiama Porto Azzurro) una nave contenente i mobili del castello del principe Camillo Borghese, di ritorno da Roma, dopo la separazione con Paolina Borghese (la sorella di Napoleone). “Bhe- strofinandosi felicemente le mani – tutto questo ben di Dio deve rimanere in famiglia” ha detto Napoleone, ordinando di scaricare le stive delle navi.
Durante il periodo della Restaurazione l’isola d’Elba è diventata del duca Ferdinando III, il quale ha confiscato sia la residenza di Napoleone a Portoferraio che la sua villa estiva a San Martino, vendendo tutto ciò che vi era all’interno.
Il suo connazionale il principe Anatoly Demidov, noto bonapartista, tra l’altro sposato con la nipote dell’imperatore Matilde, si è impegnato notevolmente per ritrovare i mobili e gli altri effetti personali dell’imperatore- continua la mia guida.
Parte di essi li ha raccolti in galleria, costruita apposta per questo sul territorio della villa di San Martino. Tuttavia, dopo la morte di Demidov, tutto è stato nuovamente saccheggiato e, qui, non ci sono cose realmente appartenute a Napoleone.
– Molti sono convinti che Napoleone voleva effettivamente stabilirsi sull’isola d’Elba, aspettava che lo raggiungesse la famiglia e stava pianificando di trasformare la sua residenza estiva nel suo nido famigliare. La pensate allo stesso modo?
– Se parliamo di nido famigliare, allora molto probabilmente ci si riferisce all’affresco che decora il soffitto della sala da pranzo della residenza estiva. In esso Napoleone e Maria Luisa sono rappresentanti con le sembianze di due piccioncini. Ma né uno, né l’altra, erano così ingenui. Maria Luisa, com’è risaputo, non si è mai fatta viva sull’isola.
uttavia vi è stata in incognito Maria Walewska col figlio Alexander, che poi sarebbe diventato Ministro degli Affari Esteri della Francia. Fedeltà inaspettata nei confronti di Bonaparte è quella manifestata della sorella Paolina Borghese. Si è praticamente stabilita sull’isola, ed era la sua la valigia con i gioielli che aveva tra le mani l’imperatore quando abbandonava l’isola d’Elba. La benedizione per la fuga Napoleone l’ha avuta anche dalla madre, che condivideva con lui l’esilio. “Se siete destinato a morire, figlio mio, meglio farlo sul campo da guerra che per avvelenamento” dicono le sue famose parole.
Tuttavia, la popolazione dell’isola aveva grande interesse affinché la permanenza di Napoleone lì fosse la più lunga possibile. E non solo perché ha attuato un gran numero di riforme utili, ha pavimentato le strade, stimolato l’edilizia e così via. Con il suo arrivo la vita sull’isola si è animata in maniera lampante. Paolina Borghese organizzava qui balli e, così, la nobiltà locale poteva vantare inviti a cena dall’imperatore. Il business si è animato e, a proposito, i primi turisti approdavano all’isola d’Elba per vedere dove viveva l’imperatore. Le barche, per tale motivo, si spostavano frequentemente tra Portoferraio e Piombino.
E ora? Il suo nome funziona tuttora come esca per i turisti?
– A dir il vero, no. Molti non sanno nemmeno che Napoleone ha vissuto qui per dieci mesi, in generale, per molti di loro i “Cento giorni” e Waterloo è preistoria. Nonostante, ogni anno, il comune organizzi ricostruzioni storiche degli eventi riguardanti il soggiorno di Napoleone qui. Per l’anniversario (nel 2014-2015 erano duecento anni dalla permanenza di Napoleone sull’isola) abbiamo organizzato sia uno spettacolo con costumi dell’epoca in onore del bicentenario dall’arrivo di Napoleone sull’isola, sia un grande Ballo per l’arrivo di Paolina in giugno e, ovviamente, la ricostruzione della sua fuga a febbraio. Tutto ciò senza dubbio ha stimolato interesse, c’era un gran numero di giornalisti, ma ormai la situazione si è tranquillizzata.
Confermando queste parole, le persone all’interno del museo non aumentavano e, nel corso di quell’ora, durante la quale la direttrice mi mostrava la villa, si è aggiunta solo una coppia di francesi, che tra l’altro si sono rivelati attivisti del club di Bonaparte. È scaturita, propriamente detto, una discussione.
I connazionali dell’imperatore ripresentavano l’idea per la quale, già allora, Napoleone stava creando un Europa Unita e “se i regimi reazionari non vi si fossero opposti, il nostro continente sarebbe da tempo una grande famiglia democratica”.
Saputo che appartenevo alla nazione che ha sconfitto il loro idolo nel 12, motivo per cui, sostanzialmente, è seguito l’esilio all’isola d’Elba e Waterloo, la francesina ha esclamato con tono di rimprovero “E i vostri contadini hanno preferito la servitù della gleba alle libertà napoleoniche”.
Per scampare discussioni sulle libertà, le ho chiesto, dove potessi comprare una statuetta di Napoleone.
Imprevedibilmente, non è stato così semplice. Nel negozietto del museo c’erano solo fotografie e guide, mentre, nei negozi di souvenir sul lungomare, vendevano di tutto ma non le statuette degli imperatori francesi. Solo in un negozietto ho trovato statuine di gesso dell’altezza di dieci centimetri, a 10€ l’una.
Ed è così che penso, un ambizioso maresciallo si sarebbe buttato nella creazione di un tale pandemonio se avesse saputo a quanto stanno le sue idee duecento anni dopo?
– Perché ce ne sono così poche e sono così economiche?
-La domanda ora è per altro- mi ha confermato il palese proprietario. Ahimè, il segno distintivo dell’isola, effettivamente, non è il primo pensiero dei turisti, che preferiscono gli splendori balneari ed eno-gastronomici dell’isola d’Elba. Per di più la maggioranza di loro arrivano dalla Germania, e diciamo, Napoleone non è proprio il loro eroe.
Non solo turismo
La guida consiglia di raggiungere l’isola d’Elba con la macchina, a Piombino si fermano esclusivamente i treni regionali, con le relative tempistiche. Per superare i 263 km, che separano il traghetto da Roma, s’impiegano tre ore e mezzo. A proposito, con l’autostrada non s’impiega molto di meno. Da Monaco, invece, si arriva direttamente sull’isola in meno di due ore di volo diretto. L’aeroporto locale Marina del Campo riceve voli da Berlino, Amburgo e Düsseldorf.
Si dice che i tedeschi, dopo la resa italiana nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, erano presenti sull’isola come forze occupanti, a quanto pare l’Elba piaceva già allora. Un particolare interessante è che sono stati cacciati dall’isola nel 1944 dalle forze armate francesi.
Tuttavia, passata una decina d’anni sull’isola d’Elba, c’è stato un vero e proprio “boom tedesco”, hanno comprato case e terreni dagli abitanti locali per una miseria.
– Ora gli abitanti nativi si mangiano le mani vedendo in che angoli di paradiso si sono trasformati i loro villaggi di pescatori-, dice la guida Marianna- e pensare che, in quegli anni, erano ben contenti di scambiare le loro baracche per qualche pezzo di carta, infatti, prima del boom turistico, vi era povertà sull’isola. La scelta lavorativa era limitata, o pescatore o minatore.
Acqua, fuoco e ferro
Le prime miniere sull’Elba sono state costruite ancora dagli etruschi. Proprio loro hanno scoperto qui enormi giacimenti di ferro, hanno imparato a estrarlo, fonderlo e costruire armi di metallo e utensili.
Allora si chiamava l’Isola dei Mille Fuochi, per via dei numerosi “forni fusori”, qui presenti fin dal I a.C.
Gli archeologi hanno portato alla luce reperti, tra cui antiche fornaci, raccolti nell’ormai cosiddetta “piccola” miniera, che comprende il museo mineralogico di epoca etrusca. Le pietre variopinte, blu, gialle, arancioni sparse lungo le spiagge sono una prova della ricchezza mineraria dell’isola. Secondo gli specialisti, era una delle più antiche produzioni industriali del mondo.
L’altra parte della medaglia è stata il pressoché totale disboscamento dell’isola. Dopo di che è stato necessario spostare la produzione nella peninsulare Toscana.
L’estrazione mineraria è continuata anche nei secoli successivi, sia quando l’isola d’Elba era soggetta all’autorità della Repubblica di Pisa, sia ai principi di Piombino, sia all’autorità di Napoleone, che al Regno d’Italia.
Si è poi notevolmente ingrandita nel XX secolo, quando l’Italia sviluppava intensamente la propria industria metallurgica, cui hanno contribuito non poco gli ordini della FIAT.
Nel 1924 è stata fondata la società concessionaria delle miniere dell’isola d’Elba, che nel 1970 è entrata a far parte del più grande gruppo Italsider. “C’erano miniere sia aperte che sotterranee- racconta la dipendente della riserva naturale che unisce i loro territori, Marianna Puci – Hanno dato lavoro non solo agli abitanti dell’isola, ma anche alla maggioranza delle industrie e fabbriche toscane dove venivano inviati i minerali per essere elaborati. Così, quando, nel 1981, le miniere sono state chiuse per via dei più convenienti minerali in America Latina, l’isola d’Elba era in perdita. I minatori che avevano perso il lavoro non sapevano di che occuparsi. E questo nonostante il boom turistico si stesse già sviluppando.”
Per quanto riguarda le miniere, come mi ha spiegato l’amministrazione dell’isola, sono semplicemente ferme. Le riserve di minerali sull’isola sono sufficienti e, in caso di necessità imprevista, le miniere possono essere rimesse in moto velocemente.
Ora, sul loro territorio, vengono effettuati percorsi escursionistici e trekking, mentre le loro strutture arrugginite dal vento marino vengono citate nelle guide di archeologia industriale. Mentre le pietre variopinte, blu, gialle, arancioni continuano a testimoniare la ricchezza mineraria dell’isola.
La mattanza
Un’altra caratteristica professione sull’isola d’Elba è stata la pesca del tonno. Si tratta di un procedimento, quasi rituale, chiamato mattanza, che avveniva così: si disponevano reti chilometriche nel mare sul percorso seguito dal tonno, queste erano divise in scomparti interconnessi, l’ultimo dei quali era chiamato la camera della morte.
Quando il principale della pesca, che era rispettosamente chiamato rais (“padrone”), riteneva che i pesci nella rete fossero sufficienti, s’iniziava a spingere i tonni verso l’ultimo scomparto, dopo di che il rais dava l’ordine di chiudere la camera della morte. Era il segnale di mattanza.
Da entrambe le parti della rete pervenivano barche. Da una parte si scaricavano i pesci pescati, dall’altra una squadra di pescatori innalzava man a mano la rete e, contemporaneamente, si avvicinavano alla prima barca, diminuendo lo spazio vitale dei pesci fin al punto in cui non arrivava a una decina di metri cubi. Ed è in questo retino che i giganteschi pesci muoiono per lo stress, feriti e asfissiati, dopo di che sono tirati su sulla barca.
Tuttavia, la pesca del tonno sulle coste dell’isola d’Elba non avviene dal 1958 e questo metodo un po’ selvaggio si può osservare solamente all’isola San Pietro, adiacente la Sardegna. Il vostro corrispondente l’ha visto e, può assicurare, che non si tratta di uno spettacolo per deboli di cuore. Ma, come ha assicurato a “Ogonek” la direttrice di Eurofishmarket Valentina Tepedino, la mattanza tradizionale sta diventando il passato, e ora, principalmente, i tonni sono pescati con le reti per mandare gli esemplari che non hanno raggiunto lo standard dei 100 kg a nutrirsi in vivai apposta predisposti.
In Italia, per via degli eccessivi requisiti burocratici, tali vivai non ci sono. I tonni pescati sulle sue coste sono inviati, principalmente, a Malta. Pertanto diviene una storia che riguarda un’altra isola.
Testo: | Elena Pushkarskaja |