Sulle colline toscane: Caprese, Chiusi e Settignano
A Caprese, piccolo paese dell’aretino, Michelangelo nasce e trascorre i suoi primi mesi. I Buonarroti appartengono al patriziato fiorentino, ma il padre Ludovico, caduto in ristrettezze, ha accettato l’incarico di podestà di Chiusi e Caprese.
Il borgo e i suoi dintorni, dove tuttora è visitabile la casa natale dell’artista, ricordano perciò la povertà delle origini e l’apprensione per le condizioni economiche dei familiari che lo accompagnerà per tutta la vita, ma riservano anche sorprese legate a due celebri capolavori.
Recenti studi hanno infatti rintracciato il profilo della scogliera della Verna, che domina il territorio di Chiusi, nel paesaggio montano sullo sfondo del Tondo Doni (oggi agli Uffizi), mirabile rappresentazione della Sacra Famiglia e insieme manifesto della concezione scultorea della pittura che caratterizza l’opera di Michelangelo.
Lo stesso panorama compare alle spalle della Creazione di Adamo sulla volta della Cappella Sistina. Nulla di cui meravigliarsi: i legami della famiglia Buonarroti con questi luoghi risalgono almeno a Simone, bisnonno del maestro, e hanno come tramite il convento francescano di Chiusi, all’epoca il più importante in Toscana.
Altro luogo altamente simbolico nella vita di Michelangelo è Settignano, terra di cave e scalpellini nelle immediate vicinanze di Firenze, dove l’artista trascorre l’infanzia. Anche la sua balia appartiene a una famiglia di lavoratori della pietra e da grande Michelangelo racconterà come il suo destino fosse stato segnato dall’aver bevuto “latte impastato con la polvere di marmo”.
Firenze
Ma la patria del maestro è Firenze: oggetto di sentimenti contrastanti, rifugio e minaccia secondo i capricci della storia e di un carattere inquieto, la città dei Medici è l’humus imprescindibile perché il genio si riveli.
Dopo l’apprendistato nella bottega del Ghirlandaio, il giovane Michelangelo si unisce infatti agli artisti e agli eruditi che frequentano il Giardino di San Marco, una sorta di accademia ante litteram creata da Lorenzo il Magnifico. Qui conosce la scultura antica e i più grandi personaggi della cultura del suo tempo, dal poeta Angelo Poliziano ai filosofi Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
Un giorno scolpisce per diletto una Testa di Fauno che finisce sotto gli occhi del signore di Firenze. Il Magnifico sorride alla vista della sua perfetta dentatura, fuori luogo in un volto anziano: un attimo dopo Michelangelo è al lavoro per sbrecciare i denti del fauno. A distanza di pochi giorni è accolto nella residenza dei Medici sulla Via Larga e la sua carriera può dirsi ufficialmente iniziata.
Da Firenze Michelangelo fuggirà e tornerà a più riprese, sull’onda degli intrighi e dei colpi di stato che travolgeranno la città dopo la scomparsa di Lorenzo il Magnifico. Il rapporto con i Medici sarà alquanto ambiguo, ma alla morte dell’artista il duca Cosimo I le inventerà davvero tutte per rimpatriare la salma da Roma e dedicarle funerali solenni, tra sculture effimere e tavole dipinte con gli episodi di una vita già entrata nella leggenda.
Sono davvero tante le opere che Michelangelo ha lasciato a Firenze: tra la Galleria dell’Accademia, gli Uffizi, il Museo del Bargello, Palazzo Vecchio e Casa Buonarroti ci sono tutti i presupposti per un attacco di sindrome di Stendhal.
Chi ama il caratteristico non-finito michelangiolesco potrà bearsi alla vista dei possenti Prigioni, le cui figure sembrano colte nell’atto di liberarsi dalla pietra; chi desidera cogliere l’originalità del maestro allo stato nascente apprezzerà la Madonna della Scala e la Battaglia dei Centauri, mentre i cultori della bellezza tout court non potranno che innamorarsi del Bacco del Museo del Bargello.
Tuttavia i capolavori fiorentini di Michelangelo sono di solito identificati nella Sacrestia Nuova in San Lorenzo, maestoso connubio di scultura e architettura costruito intorno ai sepolcri dei Medici, e naturalmente nel David, il mitico “Gigante” realizzato per ornare i contrafforti del Duomo e poi collocato a furor di popolo in Piazza della Signoria: riconosciuto come un capolavoro, il corrucciato eroe biblico assurse subito a simbolo della città.
Le cave del marmo di Carrara
Le Alpi Apuane furono quasi una seconda casa per Michelangelo, che era solito trattenersi a lungo nelle cave per scegliere le pietre migliori. Se il suo amore esclusivo per il marmo di Carrara risale ai tempi della Pietà Vaticana, nel 1505 l’artista impiega la bellezza di otto mesi per selezionare ed estrarre i materiali necessari per il Mausoleo di Giulio II e in Versilia esiste ancora oggi una strada da lui progettata per facilitare il trasporto dei blocchi di pietra.
Un rapporto davvero speciale, quello tra Michelangelo e il marmo, reso ancor più profondo dalla sua idea che questo contenesse già in sé le figure e che compito dell’artista fosse quello di liberarle dalle costrizioni della materia.
Una missione espletata dal maestro con grande determinazione: il diplomatico, traduttore e alchimista Blaise de Vigenére ricorda in suo scritto di aver osservato un Michelangelo ultrasessantenne che ancora tirava giù “scaglie di durissimo marmo in un quarto d’ora”, avventandosi con “tale impeto e furia” da far credere che tutta l’opera dovesse cascare in pezzi”.
Complementare a questa immagine c’è quella di appassionato e rispettoso conoscitore della pietra, che mai osò dorare o colorare impercettibilmente le statue come era in uso tra i suoi contemporanei: al contrario fu maestro nell’ottenere effetti quasi pittorici modulando la lavorazione in rapporto alla luce dei luoghi dove l’opera sarebbe stata collocata, arrivando a prevedere soluzioni adatte per le diverse ore del giorno. Rivelazioni preziose, queste ultime, derivanti da studi condotti a Roma sulla Tomba di Giulio II in occasione del suo recente restauro, mentre il rapporto di Michelangelo con il marmo può essere approfondito al CARMI, il Museo Carrara e Michelangelo aperto da poco più di un anno nel capoluogo apuano.
Roma
Senza Michelangelo Roma non sarebbe stata la stessa, a partire dal colpo d’occhio sui suoi luoghi più rappresentativi: la Cupola di San Pietro, Piazza del Campidoglio, Porta Pia e la facciata del centralissimo Palazzo Farnese portano tutte i segni dell’abilità del Buonarroti.
Il maestro giunse per la prima volta nell’Urbe a 21 anni in seguito a un curioso imbroglio: una sua scultura ora perduta, il Cupido dormiente, fu venduta al cardinale Raffaele Riario a un prezzo esorbitante e spacciata per una statua antica. Scoperto l’inganno, il grande collezionista volle con sé a Roma il giovane capace di emulare così bene la perfezione dell’arte classica. Il primo frutto della trasferta fu il Bacco, che suscitò grande ammirazione.
A Roma Michelangelo trovò amici, tra cui il collega Sebastiano dal Piombo e la nobildonna Vittoria Colonna, amori come il giovane Tommaso Cavalieri, e illustri rivali, come Donato Bramante e Raffaello. Ma la sua carriera si nutrì soprattutto di incontri e scontri con pontefici diversissimi tra loro – Giulio II, Clemente VII e Paolo III – senza i quali non sarebbero alcuni dei più celebri capolavori del Rinascimento non sarebbero mai esistiti.
E nella Città Eterna il maestro morì, quasi ottantanovenne, nella casa piena di vecchie cose e arnesi consunti di via Macel de’ Corvi, demolita a fine Ottocento durante i lavori che ridisegnarono Piazza Venezia per far posto all’Altare della Patria. Meno di un mese prima la Congregazione del Concilio di Trento aveva stabilito di far coprire le scandalose nudità del Giudizio Universale: era la fine di un’epoca.
Dal marmo all’affresco
Se la Pietà Vaticana rappresenta il primo capolavoro romano di Michelangelo, realizzato a soli 22 anni con coraggiose innovazioni destinate a fare tendenza, probabilmente l’opera dalla genesi più travagliata fu la Tomba di Giulio II, che risentì del burrascoso rapporto tra l’artista e il pontefice, degli intrighi del Bramante e, infine, della morte del papa. Seppur ridimensionato rispetto al progetto originario, il frutto di tanto tormento è ora visibile fresco di restauro nella chiesa di San Pietro in Vincoli: un poema di luce e marmo costruito attorno alla celebre statua del Mosè.
La vera sfida, di dimensioni colossali, arriva però con l’invito da parte dello stesso papa Della Rovere a ridipingere la volta della Cappella Sistina, tanto più che Michelangelo, oltre a preferire la scultura alla pittura, non è affatto esperto della tecnica dell’affresco. Ma questo non serve a fermarlo e nulla può nemmeno l’invidia dei rivali.
“Senza aver visto la Cappella Sistina, non è possibile farsi un’idea completa di ciò che un uomo è capace di raggiungere”, scriverà Goethe due secoli più tardi, quando l’immane fatica sarà stata completata da un Michelangelo ormai anziano con lo spettacolo terribile e sublime del Giudizio Universale.