Ha lavorato tanto in Italia e con gli italiani. Che cosa significa questo Paese per Lei dal punto di vista professionale e personale?
Credo che ogni architetto ami l’architettura classica e quella dell’antichità o almeno coltivi un interesse per essa, e per questo è semplicemente impossibile ignorare l’Italia.
La mia prima esperienza italiana è stata nel 1992 a Roma. A colpirmi più di tutto fu la stratificazione di epoche e stili architettonici, di materiali e di dettagli così diversi. Io sono nato e cresciuto a Pietroburgo, una città fatta essenzialmente di intonaco. E quando vedi per la prima volta tanti dettagli in pietra, il loro colore caldo, la loro struttura viva, gli splendidi rilievi, la profondità delle facciate, il gioco della luce su superficie diverse – tutto ciò ti fa una grande impressione, naturalmente. Personalmente, inoltre, l’Italia è legata molto al disegno: è stato proprio lì, a Roma, che ricominciai con intensità a fare disegni architettonici.
In generale mi ha sempre affascinato capire come si è formato storicamente il linguaggio architettonico e la conoscenza dell’Italia – e in particolare delle rovine antiche – ha sempre avuto un ruolo importantissimo in questo campo (basti pensare ai viaggi formativi che gli architetti francesi e russi compivano in Italia nel Settecento-Ottocento). L’uso dei materiali nell’architettura italiana, la qualità dell’elaborazione dei dettagli ti fanno veramente venire voglia di disegnarla. E in quel momento, a Roma, me ne sono reso conto di persona.
Anche oggi disegna spesso l’Italia (Casa sotto la rupe. Amalfi, Basilica di Santa Maria della Salute). Perché il tema italiano rimane importante nella Sua vita? Si può dire, parafrasando Gogol, che “l’Italia sia la patria dell’anima” anche per Lei? O forse si tratta piuttosto di un interesse professionale, per studiare i materiali, i dettagli, lo spazio e i segreti dei maestri antichi?
In Italia la tradizione architettonica si concilia perfettamente con una natura splendida e con un “senso del bello” che è innato nelle persone.
Difficile distinguere una cosa dall’altra: mi interessa tanto studiare l’Italia da professionista quanto appassionarmi a essa da semplice turista, se vogliamo.
Ha menzionato la casa ad Amalfi: una rupe immensa si staglia sopra una piccola casetta che, di per sé, non ha nulla di particolare sotto il profilo architettonico. Credo che solo in Italia si possano trovare luoghi come questo, in cui la perfezione architettonica si unisce a un paesaggio interessantissimo, realizzando una perfetta armonia tra il paesaggio e l’architettura.
Inoltre, durante tutta la sua storia, l’architettura italiana si è caratterizzata per l’equilibrio tra l’impianto principale e il dettaglio. Non esiste un luogo in Italia dove l’architettura di un palazzo sia distaccato dal materiale di costruzione e dal modo in si inserisce nel paesaggio. E’ proprio questo aspetto che rende l’architettura italiana “fotogenica”, che ti fa venire voglia continuamente di disegnarla e che rende interessanti anche i dettagli più piccoli. E, per completare il quadro, va citata la luce particolare che c’è in Italia, e la vegetazione… Credo che sia proprio la combinazione di tutti questi elementi a rendere la cultura italiana la più affascinante.
Potrebbe fare un paio di esempi delle architetture iscritte armoniosamente nel paesaggio?
Non credo di essere originale se parlo della Piazza di Siena, che somiglia come forma a un grande ventaglio, oppure l’abbazia di San Galgano – un posto straordinario dove le rovine diventano un tema architettonico totalmente autonomo. Oppure la facciata sud del Pantheon, con la sua superficie così espressiva. A Venezia mi piacciono molto gli edifici di Pietro Lombardi, in particolare la chiesa di Santa Maria dei Miracoli con le sue stupende facciate di marmo dalle venature variegate.
E naturalmente la cattedrale di Amalfi: posizionata su un piccolo rialzo, se ti ci avvicini gradualmente, osservando il campanile dai punti di vista diversi, ecco che sparisce di colpo, per poi riapparire sotto un’angolazione nuova. Oppure il Ponte Vecchio di Firenze – un ponte sopra il quale si innalzano case fatte per viverci. Stratificazioni di questo genere erano tipiche nel Medioevo in tante città d’Europa, ma si sono conservate soltanto a Firenze.
Ma a parlare di posti mirabili in Italia si può andare avanti ad libitum… Mi limiterò a un’altra città soltanto: Pisa. Una città d’arte unica, dove singoli edifici sono stati interpretati come delle sculture in un parco. Il Battistero, per esempio, assomiglia a una campana posta al centro di un prato verde, e funziona anche come elemento totalmente autonomo…
…intende nell’architettura del paesaggio?
Sì, il Battistero rappresenta una vera e propria scultura nello splendido scenario di Piazza dei Miracoli.
Potrebbe descriverci un monumento che Le piace personalmente? Oppure, spiegare a una persona comune cosa bisogna osservare un monumento? Poniamo ad esempio un capolavoro noto a tutti come la Basilica di Santa Maria della Salute a Venezia…
Secondo me, in un monumento come la Basilica di Santa Maria della Salute ciò che conta di più è la presenza di un numero enorme di vari punti di vista. Per esempio, la cupola principale, che domina l’intera struttura, passa completamente in secondo piano avvicinandosi all’edificio. Tutta l’attenzione viene catturata, invece, dalle figure poste sui timpani e sulle arcate. La struttura stessa sembra cambia le proporzioni secondo la distanza da cui si osserva. Credo che questa sia l’essenza di costruzioni del genere e che è molto raro da trovare, ad esempio, nell’architettura contemporanea, che fanno della linearità il loro punto di forza.
Nei più importanti edifici storici, al contrario, percepiamo un cambiamento continuo, la cui osservazione ci arricchisce sempre. Perciò consiglierei a qualsiasi osservatore o turista che si rechi in Italia di dedicare un po’ di tempo a questo tipo di esperienza e, anziché limitarsi a osservare un palazzo da lontano, girarvi intorno, passare lungo le facciate laterali e le stradine adiacenti. Ci sono edifici che bisogna assolutamente vedere dai punti di vista più disparati, trovando continuamente prospettive nuove e angoli nascosti.
Questo vale anche per gli interni?
Certamente sì. Posso portare l’esempio di un interno che, ogni volta, mi impressiona moltissimo: la Chiesa del Bramante “Santa Maria presso San Satiro” a Milano. Entri nella chiesa e vedi la celebre prospettiva illusoria della “finta abside” per cui la navata principale sembra proseguire
Certamente sì. Posso portare l’esempio di un interno che, ogni volta, mi impressiona moltissimo: la Chiesa del Bramante “Santa Maria presso San Satiro” a Milano. Entri nella chiesa e vedi la celebre prospettiva illusoria della “finta abside” per cui la navata principale sembra proseguire. Occorre andare all’esterno e girare intorno all’ edifcio per vederne le reali dimensioni. Solo allora che ci si rende conto di quanto sia grandiosa la concezione architettonico-spaziale della Basilica.
L’architettura dell’antichità classica in Italia, dopo il Rinascimento, ha vissuto un’altra riscoperta grazie all’opera del noto architetto e incisore Giovanni Battista Piranesi, che ha avuto un’influenza sull’architettura, nonostante tra i suoi progetti propri l’unica ad essere realizzata in qualche misura fosse la chiesa di Santa Maria del Priorato. Qual è, a Suo avviso, il ruolo di Piranesi nello sviluppo del pensiero architettonico?
A mio aviso, Piranesi è stato il principale artista-architetto, che ha elaborato nella sua riflessione l’unicità non solo del dettaglio ma anche dello spazio che caratterizza la città delle rovine che era Roma ai suoi tempi.
È stato il primo a creare composizioni molto interessanti anche dal punto di vista artistico utilizzando le parti rimaste di edifici antichi e di strutture a lui contemporanee. Forse è stato proprio lui a riscoprire ciò di cui ho parlato prima – il fascino del materiale, del dettaglio e degli spazi dell’architettura antica, nella sua forma particolare in cui la trovò nel Settecento. Unita cioè alla natura e a un modo di vivere quasi rurale, quando pastori portavano le greggi al Foro romano e gli alberi crescevano attraverso i palazzi. Furono proprio queste stratificazioni a dare, a mio avviso, una spinta verso la romanticizzazione delle rovine come, da una parte, un dettaglio riconoscibile dell’architettura antica, e dall’altra, di un’entità semi-astratta che possiede un valore autonomo. Credo che lui, da architetto di fantascienza o architetto compositore com’era, non doveva costruire in quel periodo, la sua importanza invece stava nel comprendere e interpretare il significato dell’architettura quale gioco complicato con lo spazio e il dettaglio. E l’ha fatto in maniera migliore nelle proprie opere grafiche.
Parlando d’Italia, di solito si dedica tanta attenzione all’architettura antica e al Rinascimento. Il barocco, al contrario, rimane spesso incompreso, forse perché troppo ricco di dettagli e difficilmente riconducibile a due-tre line semplici.
Non sono d’accordo. Lo stesso Piranesi, per esempio, unendo l’amore per il classicismo con una fortissima influenza baroccax ha mostrato, appunto, il gusto per la complessità.
Non sono d’accordo. Lo stesso Piranesi, per esempio, unendo l’amore per il classicismo con una fortissima influenza baroccax ha mostrato, appunto, il gusto per la complessità. Al contempo, l’architettura barocca, fondata su forme complesse, talvolta addirittura esagerate, non sarebbe a sua volta possibile senza lo studio del gotico, che per primo aveva trasformato le forme classiche. Il barocco italiano è un fenomeno culturale assolutamente originale e importantissimo: il gusto per il dettaglio, l’uso dei volumi e le forme plastiche caratterizzano fortemente gli architetti italiani.
E dove è più interessante osservare il barocco? A Roma, in Sicilia, a Venezia?
A Roma, naturalmente, per ammirare le opere di uno degli architetti più importanti in assoluto: Francesco Borromini.
Nelle sue composizioni questo gioco di schiacciare, deformare e modificare spazi ellittici o semi-ellittici, tipico del barocco, ha raggiunto il culmine.
Secondo Lei, quando è avvenuto il passaggio dall’architettura classica a quella moderna? In che momento si passa alla linearità tipica dell’architettura contemporanea? E perché questo cambiamento?
E’ una questione complessa. Dall’antichità fino agli anni ’30 del ‘900 le mode, gli stili architettonici e decorativi si sono succeduti in maniera sempre più rapida. Pensate al ritmo di un atleta: prende la rincorsa, corre lentamente, accelera, raggiunge il momento di massima velocità e poi salta… Ecco, credo che in questo momento siamo nella fase di “stacco”. Storicamente gli uomini hanno voluto abbellire le proprie abitazioni, di arricchire esteticamente gli spazi destinati alle attività quotidiane. Anche attraverso la ricerca di nuove soluzioni ingegneristiche e costruttive, gli architetti cercavano di decorare la superficie degli edifici.
A mio parere, attorno agli anni ’30 è come se il linguaggio decorativo si sia esaurito ed è emerso il desiderio di gettare via il superfluo, di tornare alla forma pura, essenziale.
Gli architetti hanno lavorato alla creazione di edifici iconici, unici, quasi delle sculture di vetro e cemento. Si è invece persa l’arte di creare edifici comuni, quelli che occupano la maggior parte della superficie cittadina. Reputo dunque stupendi molti dei musei, degli auditorium e delle creazioni uniche di gusto minimalista che vengono realizzati oggi. Ma se parliamo delle aree residenziali, gli edifici moderni scompaiono, dunque, se confrontati di quelli di un secolo fa. E questo perché si è persa la capacità di gestire superfici complesse.
Mi sembra che molti degli “edifici d’arte” contemporanei siano, insomma, spesso avulsi dal contesto ambientale. Talvolta questo contrasto può “funzionare”, ed essere essa stessa la fonte di bellezza dell’opera. Talvolta, il risultato è purtroppo meno brillante…
Può riportare esempi di edifici moderni che si inseriscono armoniosamente nel tessuto storico delle Città?
La bellezza di un edificio dipende in massima parte dall’apertura mentale e dalla cultura personale dell’osservatore. Se una persona per definizione è contraria ai contrasti, non c’è modo che ami un edificio contemporaneo. Parlando personalmente, a me piacciono moltissimo le opere di Carlo Scarpa realizzate a Verona e all’Università di Venezia. La sua arte è molto raffinata…ha cura dei dettagli e consapevolezza dei materiali. Scarpa è sempre moderno, ma in perfetta sintonia con l’ambiente circostante.
…ma uno spettatore qualsiasi, privo di una specifica preparazione architettonica, può apprezzare queste opere, questi contrasti?
Senz’altro si! La grande arte parla in modo immediato con gli spettatori…Voglio farvi l’esempio del Centro di Arte Contemporanea, ideato dall’architetto minimalista giapponese Tadao Ando e costruito all’interno della “Punta della Dogana” a Venezia. Alla prima visione, esso appare indubitabilmente come un edificio moderno. Al contempo, però, si percepisce l’abbinamento con gli edifici storici della Basilica di Santa Maria della Salute, del seminario patriarcale e del complesso della Dogana da Mar.
Ugualmente, e’ facile rendersi conto del contrasto esistente tra i palazzi ottocenteschi di Milano e gli edifici anni 70.
Per me il contrasto è una cosa buona. Ma molti non sono d’accordo…. (ride). E’ stata proprio l’architettura contemporanea a inserire nel concetto di “bello” i contrasti. Se prima gli edifici parlavano tutti la stessa lingua, oggi parlano in lingue diverse, insomma! Penso alla Torre Velasca a Milano, che non si può considerare univocamente bella, ma certamente è divenuta una parte integrante della Città. E’ proprio questo “principio del contrasto” che considero essere la vera eredità dell’architettura del Novecento.
Qual è il ruolo dell’architettura italiana nel contesto mondiale?
Credo che ci siano tanti nomi italiani tra i “Grandi dell’Architettura” contemporanea. Penso tanto per cominciare all’architetto Aldo Rossi. E, se parliamo dell’architettura milanese, devo menzionare Mario Bellini, Michele De Lucchi, Cino Zucchi, Mario Cucinella, Francesco Fresa della Piuarch, Antonio Citterio…e sono solo una parte!
Gli architetti italiani hanno il loro punto di forza nel loro lavoro sui dettagli e nella consapevolezza dei materiali utilizzati…Grazie anche all’uso della luce, gli architetti italiani riescono con interventi minimi – quasi “chirurgici” – a creare edifici unici, direi “eterni” nella loro struttura. Il rapporto “materiale – dettaglio – forma” è pensato nella loro opera in modo profondo, complesso e “consapevole”.
Prendiamo, per esempio, l’area residenziale costruita sull’Isola Giudecca a Venezia: è uno dei pochi – se non il solo – inserto moderno nell’ambiente veneziano. Ed e’ parte integrante della struttura cittadina.
Ha consigliato ai nostri lettori di osservare gli edifici classici da diversi punti di vista. Ci dica ora come va “letta” l’architettura contemporanea?
Il consiglio rimane lo stesso. Occorre osservare un edificio da diverse angolature e anche da vicino. Amo molto le creazioni di Antonio Citterio, grande designer e architetto italiano, che crea ambienti unici utilizzando pochi elementi.
Il suo “Hotel Bulgari” a Milano consiste in una combinazione molto semplice di intonaco, metallo e legno. Ma è comunque un’opera molto bella e raffinata. Per, in ogni dettaglio. per capirla occorre osservarla con calma, avvicinarsi all’edificio, capire come le superfici interagiscano, come i dettagli si inseriscono nella struttura complessiva…E’ un esercizio che vi arricchirà…
Testo: | Anastasia Svotina e Lev Kats |