Sono i fiori del Crocus sativus limneo, meglio conosciuti con il nome di zafferano – dall’arabo safran – una delle più antiche spezie dalle mille qualità, usata per dare quell’inconfondibile sapore e colore a tante prelibate pietanze.
Si dice che la pianta dello zafferano, originaria del Medio Oriente, fu introdotta nella nostra regione nel 1230 da un frate domenicano, appartenente ad un’importante famiglia di Navelli. Qui, il bulbo trovò un habitat molto favorevole tanto che nel giro di qualche decennio, lo zafferano di Navelli divenne famoso e ricercato dai commercianti di Milano, Venezia, Marsiglia, Vienna, Dresda e di altre città tedesche e del nord Europa. All’epoca, con la polvere dorata del croco si profumavano guanciali e pavimenti delle case nobiliari, si tingevano vesti e tessuti, si coloravano i capelli e gli artisti vi dipingevano affreschi e tele.
Le prime foglie filiformi spuntano con le prime piogge di settembre, con uno sviluppo fino anche ai 40 cm. I fiori hanno sei petali di colore roseo-violaceo, con tre filamenti rosso scarlatto che rappresentano la parte femminile e tre antere gialle che rappresentano la parte maschile.
Tutt’oggi, la coltivazione è ancora manuale e la raccolta, nel breve periodo della fioritura compreso tra metà ottobre e metà novembre, si effettua al mattino presto prima che i fiori siano completamente schiusi. Lo zafferano si ottiene dai tre stimmi rossi del fiore, separati manualmente ed essiccati nello stesso giorno di raccolta lasciandoli asciugare uniformemente sopra la brace viva di legna. La tostatura dura 15-20 minuti. Con l’essiccazione alla brace lo zafferano conserva il colore rosso porpora, fragranza e aroma.
Dopo la tostatura il peso gli stimmi si riduce ad un sesto del peso iniziale, con il 5-10% di umidità residua, e da questi si prepara la polvere tramite macinatura. Per ottenere un chilo di zafferano in fili occorrono circa duecentomila fiori, ma sono sufficienti pochissimi grammi di pistilli per dar sapore e colore a preparazioni gastronomiche. In cucina, viene utilizzato per il tradizionale risotto o per le tipiche ricette abruzzesi: primi piatti con l’agnello o i gamberi di fiume; con le carni ovine o da cortile; nei dolci o ad impreziosire formaggi e latticini, nella preparazione di vini aromatizzati e liquori digestivi.
Sul litorale chietino, nella zona di Vasto, viene utilizzato anche in un piatto a base di pesce, precisamente nella preparazione della scapece, antica pietanza, dal sapore forte e deciso, in cui il pesce fritto viene fatto marinare nell’aceto aromatizzato con lo zafferano di Navelli.