Matteo Garrone: “Cerco sempre di capire i personaggi che racconto”

Tra i registi italiani degli ultimi anni, Matteo Garrone è uno dei più acclamati dal pubblico e dalla critica internazionale. In questi giorni lo celebra anche la Russia, con una retrospettiva al Festival NICE a Mosca e San Pietroburgo. Ne abbiamo approfittato per una breve conversazione sull'Italia, i suoi luoghi e il suo immaginario con cui Garrone ha costruito film molto diversi fra loro (da Gomorra al Racconto dei Racconti) ma segnati sempre da una fortissima impronta visiva.
garrone

Matteo Garrone — regista, sceneggiatore e produttore cinematografico

Nei suoi film (se escludiamo il “Racconto dei Racconti”, dove sono comunque presenti molte suggestioni che fanno pensare alla contemporaneità), Lei sceglie di raccontare la realtà dell’Italia di oggi. Qual è l’Italia che intende rappresentare al cinema?

Io mi muovo sempre partendo, più che dal fondale, dalle persone, quindi dai conflitti umani, dai desideri, dalle ossessioni che provano certi personaggi all’interno di un certo mondo, di una certa realtà. Ho un approccio più umanistico, rivolto più all’individuo che non alla società. Poi c’è sicuramente il mondo in cui questi personaggi si muovono, e che ha la sua importanza, ma io parto sempre dai temi che sento vicini e che ho voglia di esplorare, che sono legati all’uomo.

Il trailer del “Racconto dei racconti”

Il tema del desiderio ossessivo che ritorna in tutti i suoi film ha una presa particolare nella società italiana contemporanea?

Credo che anche questo sia universale, che si tratti di un archetipo. Certo, in quest’epoca l’Italia, dopo aver trascorso un periodo di grande benessere, vive un momento storico diverso, in cui probabilmente si sente ancora di più questo desiderio di una vita edonistica, concentrata sul piacere… Le ultime generazioni non hanno avuto la guerra e dunque non hanno conosciuto certe esperienze che aiutano a comprendere fino in fondo determinati valori. Dunque è comprensibile che si cerchi la strada più comoda e più facile. Ma i personaggi che racconto di solito cerco sempre di raccontarli tentando di capirli, umanamente, senza mettermi su un piedistallo e senza giudicarli dall’alto in basso. Anche perché io sono come loro, ho le mie debolezze.

Non mi appartiene il ruolo di chi giudica cosa è giusto e cosa è sbagliato. Cerco di stare accanto ai miei personaggi, di vivere con loro questi loro conflitti e desideri. E anche quando si perdono cerco di avere un rapporto di empatia con loro.

Il trailer di “Reality”

Lei ha citato tra i suoi libri preferiti “L’Idiota” di Dostoevsky, ed effettivamente questo suo approccio che tende a dare una voce a tutti è molto dostoevskiano. Comunque, nonostante l’universalità dei suoi personaggi, le sue storie si sviluppano sempre in Italia, e ci sono delle figure che incarnano molto bene il colorito dell’Italia del Sud. Questi personaggi potrebbero muoversi, vivere, soffrire e desiderare in un altro paese?

Sì, tranquillamente. Solo che io, essendo cresciuto in Italia, conosco meglio la realtà italiana. E poi ho anche una capacità camaleontica, non credo che avrei problemi ad ambientarmi in un altro paese e a raccontarlo. Anche quando ho girato Gomorra, è come se fossi andato in un altro paese…

 

E ha percepito una differenza lavorando con un cast italiano e con uno internazionale?

No, l’unica differenza è stata quella tecnica, perché quando lavoro con attori meno famosi posso girare in sequenza e vivere con loro tutto il percorso della storia. Quando invece lavori con attori molto famosi che hanno cachet importanti cerchi di accorpare tutte le scene insieme e dunque c’è meno libertà anche di improvvisazione, perché se giri tutte le scene una accanto all’altra senza un ordine gli attori possono aiutarti di meno nell’improvvisazione, invece se hai un attore che per due mesi segue tutto il percorso, come in “Reality”, l’attore stesso vivendo quel personaggio ti può suggerire come vivere all’interno del ruolo. Questa è una differenza sostanziale che ho trovato, ma dal punto di vista della direzione degli attori non c’è niente di diverso.

Nel “Racconto dei racconti” Lei ha scelto delle location italiane, di grande fascino. Con quali criteri le ha selezionate?

Le location sono sempre in funzione delle storie. Ogni location in qualche modo diventa un personaggio della storia. Castel del Monte è un castello isolato in modo tale che la principessa Viola possa sentire ancora di più il senso di solitudine, di isolamento. E poi c’è il castello di Sermoneta, dove vivono le due vecchine: quello è un racconto sviluppato su una dimensione verticale, quindi ci doveva essere un paesino sotto e il castello sopra. Ogni racconto ti evoca dei paesaggi che possono essere utili per capire meglio la psicologia dei personaggi.

 

Dunque il suo è un racconto cinematografico che sfrutta tutto il potenziale dell’immagine?

Tutti i miei film sono così. Gomorra è girato in maniera più documentaristica, ma secondo lo stesso criterio. I due ragazzini, due anarchici che in qualche modo non vogliono sottostare alle regole, si trovano in un paesaggio che esprime un senso di libertà, dove ci sono i campi, il mare… L’altra storia, quella del ragazzino che vuole entrare nell’esercito, è ambientata tra le vele di Scampia, quindi in una gabbia di cemento, in una dimensione più carceraria, claustrofobica. I luoghi ti devono aiutare, mettersi al servizio del personaggio, della storia che raccontano.

caravaggio

Caravaggio. Cattura di Cristo, 1598. Dublino, National Gallery of Ireland.

Parlando sempre dell’elemento visuale, in altre sedi ha citato Goya come punto di riferimento visivo per il “Racconto dei racconti”. Visto che è pittore di formazione, a quali artisti guarda quando gira i suoi film?

Dipende ovviamente dal film che giro. I disegni e i capricci di Goya incarnavano appieno lo spirito dei racconti di Basile, anche se risalgono a un paio di secoli dopo. Di formazione sono legato ai pittori del Seicento, a Caravaggio innanzitutto, con quel suo lavoro sulle ombre, sui neri, questa carnalità, questi oggetti estremamente realistici in partenza che poi vengono trasfigurati…

 

Come nei suoi film, di fatto.

Sì.

 

Chi va a Napoli rimane veramente colpito dal rapporto tra certe zone della città, il loro potenziale visivo, la loro storia e i quadri di Caravaggio e di quel periodo.

E non bisogna dimenticare un altro pittore napoletano straordinario, Salvator Rosa.

 

Ci sono secondo Lei altre città italiane che hanno un rapporto così netto con i pittori che le hanno abitate? Penso alla Urbino di Raffaello

Be’ sì. Tiziano con Venezia ad esempio…

Lei vive tra Roma e Napoli?

Vivo a Roma, ho una nonna napoletana ma sono nato a Roma.

 

Ci sono dei luoghi a cui è particolarmente legato in Italia?

Dice cinematograficamente?

 

Anche personalmente. Luoghi in cui trova l’ispirazione, ad esempio…

Io in Italia sto bene al Sud.

 

Si vede dai suoi film…

Sì, ci sto bene, mi piace il sole, mi piace come si mangia…

 

C’è qualche zona che potrebbe consigliare ai nostri lettori, magari poco conosciuta?

Per girare “Il Racconto dei Racconti” sono stato in Sicilia, e ci sono stato benissimo. È un posto meraviglioso, per l’atmosfera, la qualità della vita, il rapporto con le persone.

 

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