«L’Italia è un Paese in cui sarai felice ovunque tu vada»: intervista a Marina Loshak

La direttrice Loshak ha parlato in un’intervista esclusiva per il nostro sito dei progetti italiani del museo in questa stagione: la retrospettiva di Giorgio Morandi (dal 25 aprile al 10 settembre), la mostra Man as bird (images of journeys) nell'ambito del programma parallelo ufficiale della Biennale di Venezia e la grande esposizione dei pittori veneziani che verrà inaugurata in estate. Inoltre abbiamo affrontato l’argomento dell’arte italiana in generale e della sua ricezione in Russia, nonché naturalmente quello dei viaggi in Italia.
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Marina Loshak è curatrice, gallerista, storica d’arte, direttrice del Museo delle Belle Arti Pushkin

In aprile s’inaugura la retrospettiva di Giorgio Morandi, a maggio il museo presenterà il proprio progetto alla Biennale di Venezia, in estate a Mosca ci sarà l’esposizione dei maestri della pittura veneziana. Ritiene che ci sia una continuità tra questi eventi?

Abbiamo costruito tutto apposta in questa successione. L’arte italiana, quale oggetto del nostro amore, rimarrà sempre prioritaria tra le mura del museo. Non solo perché abbiamo una curatrice molto proattiva di questo settore, Viktoria Emmanuilovna Markova, ma anche perché è proprio una tradizione del museo. Da sempre, presso il nostro museo, hanno lavorato esimi italianisti, bravissimi ricercatori che hanno scritto e pubblicato tantissimi libri. Sono proprio queste le persone che hanno formato una categoria di spettatori che amano particolarmente l’arte italiana: s’intendono bene di tanti argomenti, hanno visto molto, sono colti e sono unici.

Non è la prima mostra di Morandi che facciamo nel nostro museo. Quella precedente ha avuto luogo un bel po’ di tempo fa (nel 1973 — ndr), ed esiste già una generazione di persone che non hanno visto le sue opere dal vivo. A mio avviso, Morandi fa parte di quella categoria di pittori cui occorre dedicare grandi mostre almeno una volta ogni vent’anni. È una specie di pillola, una vitamina da assumere regolarmente. Non posso affermare che sia un pittore per lo spettatore medio, no: è soprattutto un pittore per i pittori. Sono convinta che tutte le persone che si occupano professionalmente d’arte devono vedere Morandi di tanto in tanto. Purtroppo non tutti possono visitare una decina di musei per vedere ciò che sarà presente in questa sola mostra. In generale, non sono poi così tanti gli artisti da cui bisogna ogni tanto tornare. Sono come delle chiavi, come uno strumento per qualche evoluzione, e devono apparire nella nostra vita. Morandi è sicuramente uno di loro.

Solitamente, fare una mostra è sempre complicato. Nel caso di Morandi, le difficoltà sono legate al fatto che abbiamo avuto a che fare con perfezioniste da entrambe le parti. Le due curatrici, Viktoria Markova e Maria Cristina Bandera, hanno fatto un lavoro colossale. La curatrice italiana è un’esperta delle opere di Giorgio Morandi. Ho visto di persona le grandi mostre che aveva curato, e dimostra una conoscenza molto profonda dei fatti. In questo caso è impossibile transigere, ma senza compromessi è molto difficile andare avanti. Per questo, tocca fare dei passi senza precedenti per realizzare tutto al massimo livello.

Per far sì che il quadro sia veramente completo — oppure, mi viene da dire, perfetto — sono state raccolte opere da tutte le regioni, musei e fondazioni private d’Italia. L’allestimento è curato da persone molto raffinate, come Nadezhda Korbut e Kirill Ass. Lo stanno realizzando in maniera tale da non lasciare neanche una traccia, nessuna minima allusione al termine design. Ritengo che sia il livello di lavoro più elevato e che permetta di esaltare la mostra nella sua integrità. Malgrado siano molto impegnati nella costruzione della Galleria dei vecchi maestri, si sono assunti il compito di elaborarlo su loro iniziativa personale.

Qual è per Lei l’importanza di Venezia in quanto spazio d’arte contemporanea?

Venezia è veramente un luogo speciale, assolutamente internazionale e al contempo assolutamente locale. E anche tutte le qualità del carattere nazionale sono unite a Venezia: l’apertura, lo snobismo, l’indole artistica. C’è stata una coincidenza per noi fortunata, perché con la mostra Man as bird (images of journeys) compiamo un passo che dichiara la nostra determinazione di andare verso un’arte viva. La Biennale di Venezia è la piazza dove da tutto il mondo arrivano i “filibustieri” di questo settore d’arte e per noi è particolarmente importante che queste persone vedano la mostra. Inoltre, realizzare qualsiasi progetto a Venezia, in questo contesto, è un’occasione unica. Non conosco un’altra città sulla Terra che potrebbe fornire un’occasione di questo tipo.

Com’è stato scelto il sestiere per la mostra? Perché proprio il palazzo Soranzo Van Axel?

“Sono state le stelle”…! All’inizio era stato scelto un altro palazzo, e abbiamo fatto tutto per quello. Poi, quando ormai il tempo stava per scadere, l’abbiamo cambiato per un’altra location, e ne siamo molto felici perché questo posto corrisponde ancora di più a ciò che volevamo. Speriamo che questa buona sorte rimanga con noi fino alla fine della mostra.

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Palazzo Soranzo Van Axel

Quando parla dell’arte italiana e del pubblico che avete formato, in quali termini Lei personalmente caratterizza quest’arte e quei parametri a cui il pubblico presta una particolare attenzione?

Un italiano medio e un russo medio, nel confronto, risultano molto vicini l’uno all’altro. Dal punto di vista della struttura emotiva, sono nostri fratelli. Per questo motivo l’arte italiana viene percepita in maniera eccezionalmente precisa. Al pubblico russo — soprattutto quello formato da noi — non basta solo una bellezza pura: ha assolutamente bisogno di qualcosa di drammatico, di artistico. Servono campi di forze. Io paragonerei tutto ciò di cui l’arte italiana è portatrice all’opera lirica. C’è la finzione, ci sono straordinarie capacità naturali, c’è una sorta di estasi: tutte qualità connaturate anche al carattere russo. E poi, per una persona è importante non solo vedere qualcosa di nuovo, ma anche sentire la gioia del riconoscere, del comprendere che quest’opera sia una parte della propria esperienza personale.

Quali sono i Suoi luoghi preferiti in Italia?

Sono tantissimi, a dire il vero (ride). Ci vengo così spesso e amo così tanti posti…! La mia scelta dipende dalla mia vita in un dato momento.

Come distribuisce la vita e il lavoro in Italia?

Penso che la vita sia sempre più importante del lavoro, per quanto si possa amare quest’ultimo. Ovviamente il mio lavoro è la mia vita, ma comunque non c’è niente di più felice che girovagare senza progetti né obiettivi, soprattutto per un Paese come l’Italia, di cui l’esistenza improvvisata è la caratteristica principale. Non sai cosa ti aspetta dietro l’angolo e sei pronto alla gioia di semplici gesti umani. Non viene bene in tutti i Paesi.

Amo molto Roma in ogni stagione, ma soprattutto in inverno, quando ci sono pochi turisti. Naturalmente, adoro Venezia, ma non sono mai riuscita a visitarla in un periodo diverso da quello della Biennale. Provo un grande amore per le piccole città italiane. In vari periodi, sono state per me una scoperta Ferrara, Vicenza, Bergamo, Pisa e Lucca (una città per cui vado matta).

Fino a poco tempo fa non avevo un feeling con Milano, mi impediva di coltivarlo il movimento della moda, che per me è eccessivo in città, ma un bel giorno un amico italiano me l’ha svelato, e me ne sono innamorata. È molto importante chi ti fa vedere una città, chi te la fa scoprire. La stessa situazione mi è successa con Genova.

Provo un sentimento particolare per Roma, perché fu la prima città italiana in cui arrivai, ragazza ancora giovanissima, all’inizio della Perestroika. Mio marito, giornalista, ci veniva spesso, e tutti i nostri amici di allora erano giornalisti italiani. Essendo vicedirettore della sezione di economia del giornale Moskovskie novosti, veniva nella redazione della Repubblica scambiando i posti con Ezio Mauro, che veniva qui e che poi finì per diventare un giornalista famoso. Continuiamo a sentirci ancora oggi e siamo ancora amici. Molti collaboratori del giornale diventavano poi nostri amici, per questo la prima visita a Roma fu come una visita a casa mia. È un sentimento molto piacevole, quasi come se stessi ritornando.

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Roma, Piazza Navona

Non ho mai vissuto a Firenze e non ci sono stata più di un giorno. Per sentire bene una città bisogna viverci, allora nasce un sentimento diverso, fisiologico.

Adoro il Sud, soprattutto Napoli. C’è stato un periodo in cui ci siamo fermati lì, nell’appartamento di un’amica che era vice titolare della cattedra di slavistica all’Università di Bologna. L’appartamento si trova al centro di Napoli, e quando ti affacci alla finestra, vedi da ambe le parti due enormi sederi di amorini e ti ritrovi giusto nel mezzo.

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Napoli

Abbiamo vissuto spesso a Bologna — anche quella volta, niente albergo, fattore che ti permette di vivere un’esperienza totalmente diversa. Consiglio a tutti di andare a Bologna. È una città fantastica e un luogo geografico meraviglioso da cui è molto comodo viaggiare per l’Italia.

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Bologna

In generale, l’Italia è un Paese in cui si può andare alla cieca, si può semplicemente chiudere gli occhi e puntare il dito su un luogo qualsiasi sulla cartina: ovunque ti ritrovi, sarai felice.

Recentemente è stata a Carrara. Che impressione Le ha fatto?

Ci siamo trovati lì per la prima volta e siamo saliti su, per tutti questi bellissimi pozzi e monti. È stata un’impressione fortissima, senza paragoni! Poi è venuto fuori che ci abitano molti dei nostri amici, e i loro figli studiano all’Accademia delle Belle Arti. Per esempio, ci abita la famosa artista Aidan Salakhova. Mentre eravamo a Carrara, ho parlato con Andrey Konchalovsky, che stava lì per girare il film su Michelangelo. Ci disse subito dove salire, cosa visitare e dove assaggiare il lardo caldo (il lardo di Colonnata, la famosa specialità locale — ndr). Ne siamo tornati tutti bianchi come in un sogno: la polvere di marmo ricopriva le scarpe, i vestiti e pure la testa, ma i ricordi che sono rimasti sono indelebili!

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Il marmo di Carrara

Parole chiave
intervista, Marina Loshak

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